L’efficienza dinamica come condizione necessaria e sufficiente per la ripresa dell’economia da una Pandemia
Qualsiasi economia colpita da una pandemia ha bisogno di una serie di fattori che permettano, all’inizio, il suo adattamento alle nuove circostanze con il minimo costo possibile, e una volta che la pandemia è finita, l’inizio di una ripresa sana e sostenibile. Abbiamo già visto nella prima parte di questo saggio i possibili impatti strutturali che una pandemia può generare nel breve, medio ed eventualmente nel lungo termine, e il ruolo che il naturale aumento dell’incertezza generato dalla pandemia ha, in un primo momento, sull’aumento della domanda di denaro e del suo potere d’acquisto: in un ambiente di lockdown (settoriale o generalizzato) in cui l’attività produttiva è temporaneamente paralizzata, è particolarmente importante che ci sia una concomitante diminuzione della domanda, al fine di liberare beni e servizi di consumo per soddisfare i bisogni minimi di consumo di tutti coloro che sono costretti a sospendere la loro attività produttiva e lavorativa. In altre parole, l’aumento dei saldi di cassa e la riduzione dei prezzi nominali facilitano l’adattamento dei consumatori e degli agenti economici alle circostanze difficili, e allo stesso tempo permettono a tutti loro di rispondere rapidamente una volta che la fine del tunnel è in vista e la fiducia comincia a recuperare. Ma in ogni caso, l’economia deve essere “dinamicamente efficiente”[34] affinché gli imprenditori possano scoprire ed approfittarsi delle opportunità di guadagno che cominciano ad emergere e in questo modo far decollare la ripresa. Le condizioni necessarie per l’efficienza dinamica sono date da tutto ciò che rende possibile e facilita il libero esercizio della funzione imprenditoriale, creativa e al tempo stesso coordinatrice, di tutti gli agenti economici affinché siano capaci di mobilitare le risorse economiche disponibili verso nuovi progetti di investimento redditizi e sostenibili e che si concentrino sulla produzione di beni e servizi che soddisfino i bisogni dei cittadini e che siano richiesti autonomamente da loro a breve, medio e lungo termine. In un contesto di economie pesantemente intervenute, come quello in cui ci troviamo, ciò richiede che il processo di formazione e di fissazione dei prezzi propri del sistema di libera impresa si svolga con totale agilità, per cui è necessario liberalizzare tutti i mercati e, in particolare, il mercato del lavoro e quello del resto dei fattori di produzione, eliminando tutte le regolamentazioni che irrigidiscono l’economia. Inoltre, il settore pubblico non deve sprecare le risorse che sono necessarie alle imprese e agli agenti economici per far fronte alle devastazioni della pandemia e, successivamente, quando le cose migliorano, per attingere a tutti i risparmi disponibili e alle risorse inattive per poter costruire la ripresa. È quindi essenziale procedere verso una riduzione generalizzata delle tasse che lasci il massimo delle risorse nelle tasche dei cittadini e, soprattutto, che liberi il più possibile dalla tassazione i profitti delle imprese e l’accumulo di capitale. Dobbiamo sempre ricordare, per l’appunto, che il profitto è il segnale essenziale ed imprescindibile a cui attingono gli imprenditori e che li guida nella loro insostituibile funzione, creativa e coordinatrice, di individuare, intraprendere e portare a termine progetti d’investimento redditizi e sostenibili e che perciò sono in grado generare un’occupazione permanente. In aggiunta, se vogliamo favorire le classi lavoratrici, e specialmente le più vulnerabili, è imperativo promuovere, e non punire fiscalmente, l’accumulazione di capitale, poiché il salario che ricevono viene determinato, in ultima istanza, dalla loro produttività, che sarà tanto maggiore quanto più alto è il volume pro capite di capitale, sotto forma di beni strumentali sempre più grandi e sofisticati, che vengono messi a loro disposizione dagli imprenditori. E per quanto riguarda il mercato del lavoro, bisogna evitare tutti quei tipi di regolamentazioni che riducono la sua offerta, mobilità e piena disponibilità a rientrare nei nuovi progetti d’investimento in modo rapido e agile. Pertanto, la fissazione di salari minimi, l’irrigidimento e la sindacalizzazione dei rapporti di lavoro all’interno dell’azienda, l’ostacolo e soprattutto il divieto di licenziamento, e la creazione di sussidi e aiuti (sotto forma di cassa integrazione, indennità di disoccupazione, reddito minimo vitale) sono particolarmente dannosi, poiché in combinazione possono scoraggiare la ricerca e il desiderio di ottenere un’occupazione. Come conseguenza di queste politiche, a molte persone risulta più interessante e conveniente vivere di sussidi, senza lavorare ufficialmente e dedicando i propri sforzi all’interno dell’economia sommersa[35]. Tutte queste misure e riforme strutturali devono essere combinate con la necessaria riforma dello stato sociale, volta a restituire la responsabilità delle pensioni, della salute e dell’educazione alla società civile, permettendo a coloro che lo desiderano di subappaltare le loro prestazioni al settore privato con la corrispondente deduzione fiscale (abbiamo già indicato nella sezione precedente come quasi l’80% dei milioni di dipendenti pubblici spagnoli scelga ogni anno l’assistenza sanitaria privata rispetto a quella pubblica; una ragione dovrà pur esserci…).
La tabella di marcia della politica economica più appropriata per affrontare una pandemia, e soprattutto per riprendersi da essa, è quindi chiara. Alcuni dei suoi principi sono ampiamente conosciuti e altri sono addirittura un segreto aperto. Questi ultimi soprattutto da tutti coloro che cadono nella trappola di alimentare la demagogia populista creando aspettative false e irrealistiche tra una popolazione spaventata e disorientata come quella che comprensibilmente sorge in tempi di pandemia.[36]
Esaurimento della politica monetaria ultra-allentata negli anni precedenti la pandemia
Concentrandoci ora sull’attuale pandemia del Covid-19, che abbiamo analizzato come illustrazione principale in questo lavoro, vale la pena sottolineare una peculiarità molto importante che condiziona il futuro della sua evoluzione economica più negativamente di quanto sarebbe necessario. In effetti, questa pandemia nasce e si diffonde in tutto il mondo a partire dal 2020 in un contesto in cui, precedentemente, e per molti mesi e anche anni, prima con il pretesto di aiutare la ripresa incipiente dopo la Grande Recessione del 2008 e poi di affrontare le incertezze presunte o reali che sorgono sempre (il protezionismo populista di Trump, la Brexit, ecc.), le banche centrali di tutto il mondo avevano già avviato una politica monetaria ultra-allentata di tassi d’interesse zero o addirittura negativi e di iniezione monetaria, che per il suo grado di intensità, estensione e coordinamento internazionale non si era mai vista prima nella storia economica dell’umanità.
Nel mio saggio “La Nipponizzazione dell’Unione Europea”[37] ho spiegato come le politiche monetarie ultra-allentate intraprese dalle banche centrali prima della comparsa della pandemia hanno fondamentalmente avuto un effetto auto-frustrante. Da un lato, e in primo luogo, hanno vistosamente fallito nell’aumentare i prezzi a un livello vicino al due per cento. In effetti, la massiccia iniezione monetaria è stata in gran parte sterilizzata, in un ambiente di grande rigidità e incertezza istituzionale, da un concomitante e generalizzato aumento della domanda di denaro da parte degli agenti economici, dovuto a sua volta dalla riduzione (artificiale) a zero del costo opportunità di detenere liquidità in termini d’interessi; inoltre, non sono emerse chiare opportunità di investimento sostenibile in un quadro di costante regolamentazione e interventismo economico che continua ad appesantire le aspettative di profitto e quindi ad impedire la piena ripresa della fiducia persa dalla Grande Recessione del 2008. Di conseguenza, non è stato possibile completare la necessaria liquidazione e pulizia di tutti gli errori d’investimento commessi negli anni di espansione della bolla e del credito prima del 2008.
D’altra parte, e in secondo luogo, quando le banche centrali hanno intrapreso le loro politiche di massiccia iniezione monetaria, quantitative easing e taglio dei tassi di interesse a zero, sono stati “ipso facto” eliminati tutti gli incentivi che i diversi governi (Spagna, Italia, Francia, ecc.) avrebbero potuto avere per avviare o completare le riforme economiche, normative e istituzionali che sono essenziali per promuovere un ambiente di fiducia in cui gli imprenditori, liberi da vincoli e ostacoli inutili, possano dedicarsi allo sviluppo della loro creatività e investire a lungo termine, generando così posti di lavoro sostenibili. In effetti, quale governo sopporterà l’alto costo politico, per esempio, di risanare i suoi conti e liberalizzare il mercato del lavoro se, de facto, qualunque sia il deficit che incorre, questo sarà finanziato direttamente o indirettamente e a costo zero, cioè completamente monetizzato, dalla Banca Centrale? La Banca Centrale Europea, difatti, detiene già quasi un terzo del debito sovrano emesso dagli stati membri dell’Eurozona e dal momento in cui ha iniziato la sua politica di acquisti indiscriminati dello stesso, ha bloccato interamente il processo di riforme economiche e istituzionali di cui questi stati avevano e continuano ad avere bisogno “come acqua nel deserto”. La conclusione della teoria economica non potrebbe essere più chiara: in un ambiente di grande rigidità istituzionale e interventismo economico, le politiche monetarie ultra-allentate servono solo a mantenere indefinitamente la rigidità e l’atrofia delle economie interessate e ad aumentare l’indebitamento dei rispettivi settori pubblici a livelli sempre più difficili da sostenere.
La reazione delle banche centrali dinanzi all’arrivo a sorpresa della pandemia
Ed è in questo preoccupante contesto economico, in cui le banche centrali avevano praticamente esaurito tutto il loro arsenale di “armi non convenzionali” di politica monetaria ultra-accomodante, che la pandemia di Covid-19 è emersa a sorpresa nel gennaio 2020. La reazione delle autorità monetarie è semplicemente stata quella di perseguire con maggiore intensità le stesse ricette: raddoppiare l’iniezione monetaria (e anche di più possibilmente) non solo aumentando i classici programmi di acquisto di attivi finanziari (il cui prezzo, per la gioia dei grandi investitori come i fondi di investimento, hedge fund, ecc. non ha smesso di crescere, aumentando così ancora di più la fortuna di pochi ricchi mentre l’economia della maggior parte dei cittadini si contrae ed entra in recessione), ma anche, de facto, distribuendo il denaro di nuova creazione in modo crescente per mezzo di aiuti diretti e di sussidi finanziati attraverso il deficit pubblico monetizzato, così che una parte importante del nuovo denaro creato comincia già ad arrivare direttamente nelle tasche delle stesse economie nazionali. Ma sappiamo, almeno sin dal 1752, anno in cui David Hume pubblicò il suo celebre saggio “Della Moneta”[38], che la semplice distribuzione paritaria delle unità monetarie tra i cittadini non produce effetti reali e significativi sull’economia[39]. Per questo, le autorità monetarie non vogliono nemmeno sentir parlare del famoso “elicottero di Friedman” come strumento di politica monetaria, perché quest’ultima è in grado di produrre effetti apparenti di espansione solo quando sono pochi i settori, le imprese e gli agenti economici, a ricevere, in un primo momento, il denaro di nuova creazione, con tutte le conseguenze collaterali di un aumento della disuguaglianza nella distribuzione del reddito a favore dei pochi che abbiamo già citato in relazione agli effetti del “quantitative easing” come fattore determinante dell’arricchimento degli attori dei mercati finanziari. In ogni caso, ciò che è indiscutibile è che, prima o poi, il nuovo denaro, sempre che non venga sterilizzato dalle banche private[40] e da settori imprenditoriali scoraggiati, finirà per raggiungere le tasche dei consumatori e per generare tensioni inflazionistiche, man mano che l’effetto Hume dell’inesorabile perdita del potere d’acquisto dell’unità monetaria si manifesta. E questo effetto diventerà sempre più evidente man mano che l’incertezza iniziale delle economie domestiche verrà superata ed esse considereranno che non è più necessario mantenere saldi di cassa così alti, o semplicemente saranno costrette a spendere il denaro che ricevono sotto forma di sussidi per sopravvivere mentre i loro membri sono disoccupati e non possono produrre. In ogni caso, tutto punta nella stessa direzione: una crescente domanda monetaria su una produzione contratta come conseguenza della pandemia porta inesorabilmente a una crescente pressione al rialzo dei prezzi[41]. E questo è precisamente ciò che si comincia a constatare mentre si scrivono queste linee. Per esempio, il prezzo dei prodotti agricoli continua a salire e ha raggiunto il massimo degli ultimi tre anni; e lo stesso sta accadendo con i noli e molte altre materie prime (minerali, petrolio, gas naturale, ecc.) che stanno raggiungendo prezzi molto alti, addirittura record.
Il vicolo cieco in cui si trovano le banche centrali
La conclusione non potrebbe essere più chiara. Le banche centrali hanno raggiunto un vero e proprio vicolo cieco. Se spingono ulteriormente la loro politica di espansione monetaria e di monetizzazione di un deficit pubblico sempre crescente, corrono il rischio di generare una grave crisi del debito pubblico e dell’inflazione. Ma se, nel timore di passare dallo scenario di “nipponizzazione” pre-pandemia a uno scenario vicino alla “venezuelizzazione” dopo di essa, rallentano la loro politica monetaria ultra-allentata, allora la sopravvalutazione dei mercati del debito pubblico diventerà immediatamente evidente e si genererà una grande crisi finanziaria e una recessione economica, tanto dolorosa quanto salutare a medio e lungo termine. E il fatto è che, come dimostra il “Teorema dell’impossibilità del socialismo”, è impossibile che le banche centrali (veri e propri organi centrali di pianificazione finanziaria) possano individuare ed implementare la politica monetaria ideale e conveniente in ogni momento.
Data l’ovvietà della difficilissima situazione attuale, è molto indicativo osservare le raccomandazioni e le reazioni che, in modo sempre più nervoso e ansioso (direi addirittura “isterico”), vengono riversate da investitori, “esperti”, commentatori, e persino dai più rinomati leader economici ed autorità monetarie.
Così, per esempio, vengono pubblicati continuamente nuovi articoli e commenti, soprattutto nei giornali “salmone”, guidati dal Financial Times, che tendono sempre a rassicurare i mercati e che invariabilmente mandano il messaggio che i tassi d’interesse zero (o addirittura negativi) rimarranno tali per molti anni a venire, poiché le banche centrali non hanno intenzione di mollare le loro politiche monetarie ultra-allentate, e di conseguenza, gli investitori possono stare tranquilli e continuare ad arricchirsi facendo trading e comprando nei mercati obbligazionari. Le banche centrali, a loro volta, mettendo la benda davanti alla ferita, annunciano la revisione dei loro obiettivi d’inflazione, con lo scopo di “alleggerirli” (ovviamente verso l’alto) e con il pretesto di compensare gli anni in cui non sono state in grado di raggiungerli, e, in aggiunta, per giustificare la mancata adozione di misure di controllo monetario anche qualora l’inflazione dovesse schizzare alle stelle[42]. Altri consiglieri delle autorità monetarie propongono addirittura di abbandonare il cosiddetto inflation targeting e di introdurre direttamente come obiettivo il mantenimento di una certa curva dei rendimenti particolarmente bassa (cioè tassi zero o addirittura negativi per molti anni della curva dei rendimenti, per i quali si farebbero tutte le operazioni di “mercato aperto” necessarie). E tutto questo viene sostenuto dai rappresentanti della cosiddetta “Teoria monetaria moderna” la quale, nonostante il suo nome, non è né moderna né tanto meno una teoria, ma solo un potpourri di vecchie ricette keynesiane e mercantiliste più tipiche degli ciarlatani dei secoli passati (visto che sostengono che il deficit è irrilevante perché può essere finanziato senza limiti emettendo debito e monetizzandolo) che dei veri teorici della nostra disciplina, e che sta creando scompiglio tra i nostri decisori economici e monetari[43]. E così arriviamo all’ultimo degli “eventi” che sta diventando sempre più popolare: la cancellazione del debito pubblico acquisito dalle banche centrali (che, come abbiamo visto, è già vicino a un terzo del totale).
Innanzitutto, è ovvio che coloro i quali, in numero crescente, si sono uniti al coro a favore di questa cancellazione si mettono allo scoperto, perché se, come sostengono, le banche centrali ricompreranno sempre il debito che viene emesso dagli stati per far fronte alle scadenze che giungono ad un tasso di interesse zero, non ci sarebbe bisogno di nessuna cancellazione. Il fatto stesso che costoro stiano chiedendo una tale cancellazione, infatti, la dice lunga sul loro nervosismo in relazione ai crescenti segni di ripresa dell’inflazione, e la loro concomitante paura che i mercati obbligazionari crollino e che i tassi di interesse salgano nuovamente. In queste circostanze, sarebbe fondamentale per loro allentare la pressione sui governi spreconi e mangiasoldi con una cancellazione che equivarrebbe a un ripudio di quasi un terzo del debito totale da loro emesso e che danneggerebbe solo un’istituzione così astratta e distante per il grande pubblico come la banca centrale. Ma le cose non sono così facili come sembrano. Se si effettuasse una cancellazione come quella richiesta, risulterebbe evidente quanto segue. In primo luogo, che le banche centrali si sono limitate a creare denaro e a iniettarlo nel sistema attraverso i mercati finanziari, facendo arricchire in modo esorbitante poche persone senza ottenere, nel lungo periodo, alcun effetto apprezzabile sull’economia reale (a parte la riduzione artificiale dei tassi di interesse e la contemporanea distruzione dell’allocazione efficiente delle risorse produttive[44]). Il clamore popolare contro questa politica raggiungerebbe una tale ampiezza se questa condonazione venisse effettuata, che le banche centrali, in secondo luogo, perderebbero non solo tutta la loro credibilità[45] ma anche la possibilità di ripetere in futuro le loro politiche di acquisti sul mercato aperto (“quantitative easing”), essendo costrette dalle circostanze a limitarsi a processi di iniezione monetarie direttamente ai cittadini (“l’elicottero di Friedman”), gli unici “equi” dal punto di vista dei loro effetti sulla distribuzione del reddito, ma che, privi di effetti espansivi reali e visibili a breve termine, significherebbero la morte definitiva della capacità delle banche centrali di influenzare in modo apprezzabile le economie del futuro con la loro politica monetaria.
Ed è in questo contesto che l’unica raccomandazione sensata che si può dare agli investitori è di vendere tutte le loro posizioni a reddito fisso il più presto possibile, poiché non si sa per quanto tempo ancora le banche centrali continueranno a mantenere, artificialmente, un prezzo delle obbligazioni così esorbitante come non si è mai visto nella storia dell’umanità. E infatti ci sono indicazioni più che sufficienti che gli investitori più attenti, come gli hedge fund e altri, utilizzando derivati e altre tecniche sofisticate, stanno già scommettendo sul crollo dei mercati obbligazionari, mentre ufficialmente non smettono, come non potrebbe essere altrimenti, di filtrare messaggi e raccomandazioni rassicuranti nei media, utilizzando i commentatori più prestigiosi[46], dato che vogliono “uscire” dai mercati del debito senza farsi notare e al prezzo più alto possibile.
Il “colpo finale” della spesa pubblica
E così arriviamo all’ultima ricetta che viene proposta come via fondamentale per uscire dalla crisi generata dalla pandemia e ripristinare la normalità: massimo ricorso alla politica fiscale aumentando ancora di più e in modo esorbitante la spesa pubblica, anche se questa volta, così si dice, dando priorità agli investimenti ambientali, alla digitalizzazione e alle infrastrutture. Niente, per tanto, viene fatto per risanare i conti pubblici, né per snellire la spesa pubblica improduttiva; niente per ridurre la pressione fiscale o alleggerire il carico burocratico e normativo sugli imprenditori affinché riprendano fiducia e comincino a investire. Il contrario di tutto ciò. Questa nuova politica fiscale, tuttavia, è pro-ciclica e controproducente a livelli preoccupanti. Ad esempio, quando la “manna” dei 140 miliardi di euro concessi dall’Unione Europea alla Spagna in fondi non rimborsabili (su un programma totale di 750. miliardi organizzati dalle autorità dell’Unione ed estendibili fino a 1,85 trilioni sotto forma di prestiti), è più che probabile che sia l’economia della Spagna, così come quelle del resto dell’Unione europea, si stiano già recuperando autonomamente, il che vuol dire che questi fondi assorbiranno e devieranno le scarse risorse che sono essenziali per il settore privato per avviare e completare i necessari progetti di investimento. Tali investimenti, grazie alla loro redditività reale, possono generare da soli, e senza aiuti pubblici, un alto volume di occupazione sostenibile a breve, medio e lungo termine, un’occupazione che contrasta con l’occupazione sempre precaria e dipendente dalle decisioni politiche del momento che genera una spesa pubblica consumistica, anche in progetti faraonici di “transizione” ecologica e digitale. E questo senza dover menzionare l’inefficienza intrinseca del settore pubblico nel canalizzare le risorse ricevute e l’inevitabile politicizzazione nella loro distribuzione, sempre molto vulnerabile alla ricerca e al mantenimento del clientelismo politico corrispondente. Tutti ricordiamo, per esempio, l’enorme fallimento del cosiddetto “Piano E”, l’iniezione di spesa pubblica promossa dall’amministrazione del governo socialista di Zapatero per affrontare la Grande Recessione del 2008. O il deplorevole fallimento della politica fiscale ultra-espansiva in Giappone, che non ha avuto alcun effetto apprezzabile se non quello di trasformar quest’ultimo nel paese più indebitato del mondo. In sostanza, la storia si ripete più e più volte.
Conclusione
Non esistono scorciatoie miracolose per uscire da una crisi come quella generata dall’attuale pandemia. Anche se i governi e le autorità monetarie cercano continuamente di presentarsi ai cittadini come i loro indispensabili “salvatori”, grazie ai loro sforzi e alla loro frenetica attività facendo cose apparentemente benefiche. Anche se entrambi nascondono sistematicamente la loro intrinseca incapacità, come ha dimostrato la Scuola Austriaca, di ottenere le informazioni necessarie per dare un contenuto coordinatore ai propri mandati e decreti. Anche se le loro azioni sono sistematicamente irresponsabili e controproducenti perché sperperano le scarse risorse della società e rendono impossibile la corretta allocazione delle risorse e il calcolo economico razionale nei processi di investimento. Nonostante tutto questo, cioè, nonostante i governi e le banche centrali, tra qualche anno la pandemia Covid-19 sarà semplicemente un triste ricordo storico che verrà presto dimenticato dalle generazioni future, nello stesso modo in cui nessuno ricordava la devastazione sanitaria ed economica molto più grande causata dall’ “influenza spagnola” un secolo fa. Ora, come allora, avanzeremo grazie al nostro sforzo individuale e collettivo, cercando di portare avanti in modo creativo i nostri progetti di vita, nelle scappatoie della libera impresa e dei mercati non intervenuti che, nonostante tutto, sono ancora aperte.
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[34] Jesús Huerta de Soto, La teoria dell’efficienza dinamica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014.
[35] Si veda su questo punto Jesús Huerta de Soto, Moneta, Credito Bancario e Cicli Economici, ob. cit, pp. 400-401.
[36] P. Bagus, J.A. Peña Ramos y A. Sánchez Bayón, “Covid-19 and the Political Economy of Mass Hysteria”, Int. J. Environ. Res. Public Health, 2021, 18 (4) 1376.
[37] Jesús Huerta de Soto, La Nipponizazzione dell’Unione Europea, in Francesco Carbone, A Scuola di Economia, Usemlab, seconda edizione, 2020. D’altra parte, il “Teorema dell’impossibilità del Socialismo” può esser pienamente applicato alle banche centrali, come spiego ed illustro in Jesús Huerta de Soto, Moneta, Credit Bancario e Cicli Economici, ob.cit., pp. 558-580.
[38] David Hume, “Of Money”, Essays, Moral, Political and Literary, E. F. Miller (ed), Liberty Classics, Indianápolis, 1985, pp. 281 y ss. Hume si riferisce espressamente al fatto che se, per miracolo, ogni uomo in Gran Bretagna si trovasse da un giorno all’altro con cinque sterline in più in tasca, questo non avrebbe alcun effetto reale se non quello di diminuire il potere d’acquisto del denaro (cioè, aumentare i prezzi nominali dei beni e servizi), perché la capacità produttiva del Regno Unito rimarrebbe identica (p. 299). Con il suo famoso “elicottero” Friedman ha semplicemente copiato e aggiornato questo esempio di Hume (senza citarlo).
[39] Per esempio, lo stesso Mervyn King, l’ex governatore della Banca d’Inghilterra, non ha avuto altra scelta che riconoscere: “la narrazione prevalente è che la combinazione di stimolo fiscale e monetario è stata un successo contro la pandemia, ma, ad oggi, non vedo davvero il beneficio dell’attivismo della banca centrale. Sono giorni che discuto con mia moglie se è il momento di andare a cena nel nostro ristorante preferito: il tenore di questa discussione non cambierà semplicemente perché continuano ad abbassarci i tassi di interesse”. El País, Madrid, domenica 17 gennaio 2021, p. 38.
[40] La relazione delle autorità monetarie con le banche private è per così dire “schizofrenica”: da un lato, le inondano di liquidità da prestare, mentre al tempo stesso le minacciano continuamente, esigendo maggior capitale e vigilando attentamente a chi prestano.
[41] Si consulti, per esempio, su questo punto l’articolo di Michael D. Bordo e Mickey D. Levy, “The Short March Back to Inflation”, The Wall Street Journal, 4 Febbraio 2021, p. A17.
[42] L’adozione di una tale politica metterebbe a dura prova la governance dell’euro, tanto da metterlo in serio pericolo di scomparire.
[43] Si veda, sul tema, Patrick Newman, “Modern Monetary Theory: An Austrian Interpretation of Recrudescent Keynesianism”, Atlantic Economic Journal, nº 48, 2020, pp. 23-31, e gli articoli critici di Mark Skousen e Gordon L. Brady, pubblicati nello stesso numero di questa rivista. Tra gli economisti maggiormente incantati dalla Modern Monetary Theory troviamo il propio Mario Draghi. Si veda a tal proposito “Las claves del plan Draghi” para salvar Italia, ABC, 4 de febrero de 2021, p. 30.
[44] È una vera tragedia che esperti, politici e cittadini abbiano dimenticato che il più importante di tutti i prezzi e, quindi, quello più trascendentale che il libero mercato deve fissare, il tasso d’interesse, ovvero il prezzo dei beni presenti in funzione dei beni futuri, non può essere impunemente manipolato da governi e banche centrali senza bloccare il calcolo economico e la corretta allocazione intertemporale delle risorse produttive.
[45] Tra l’altro, non avendo attivi da vendere, avendoli ripudiati, non sarebbero, in futuro, in grado di drenare riserve dal sistema qualora dovesse risultare necessario di fronte a un picco di inflazione. Solo nel contesto di una transizione irrevocabile verso un sistema bancario senza riserva frazionaria, ovvero con un rapporto di cassa del 100%, come propongo nel capitolo IX del mio libro Moneta, Credito Bancario e Cicli Economici (ob.cit., pp. 678-694), avrebbe senso cancellare il debito pubblico detenuto dalla banca centrale per evitare che diventi il detentore di una parte significativa dell’economia reale. Come propongo, infatti, in questo caso il debito verrebbe scambiato con gli attivi bancari che oggi controbilanciano i depositi a vista.
[46] A tal riguardo, possiamo fare riferimento, per esempio, alla litania di commenti e raccomandazioni sulla politica monetaria e fiscale del prestigioso Martin Wolf nel Financial Times, o dello stesso Paul Krugman nel supplemento economico di El Pais. Non c’è settimana in cui smettano di raccomandare più iniezione monetaria e più spesa pubblica.